We Run Rome. Ore 9. Davanti a me un uomo scende dall’automobile, apre il cofano afferra due quadri, li getta nel cassonetto. Non c’è dibattito con mia moglie, aspetto solo che la sua auto riparta per vedere quante tenebre ci siano nel cuore di un’azione così spietata. Sollevo le tele dal fondo della spazzatura, intatte. Parto in modo aggressivo, la mia casa è a cinquecento metri, la velocità è data dall’impressione di dover salvare due vite. I quadri hanno un loro respiro affannato. Ora sono in bella mostra a casa mia, vivi. Uno appoggiato alla bacheca della parete nord in camera da pranzo dove c’è molta luce, l’altro sullo sfiato della cristalliera, con un pizzo coperto dal paralume giallo. Due delicatissime vedute romane : l’Isola Tiberina e uno scorcio trasteverino, ambedue firmate dall’autore e datate 1979. Se il disordine mentale di quell’uomo ci ripenserà potrà riavere le due tele. La nostra città è stata fin troppo asfissiata da comportamenti assurdi, non serve un’aggiunta. Ora, mentre scrivo, si trovano a quattro mattonelle da me e giuro che è tutto vero. Ore 13. Carmine ha gli occhi di fuori per il mio ritardo. Gli dico: - calmo calmo, che la We Run Rome partirà alle 15 e con il freddo cane che fa è inutile arrivare con troppo anticipo. Massimiliano e Walter ci aspettano a Caracalla, siamo tutti della stessa squadra, quella di non stare fermi un attimo, neppure alla fine dell’anno. Ore 13,30. Il voltaggio della musica e dei colori è a palla, il vento freddo fischia. Migliaia di runners si scaldano chiacchierando. Sul muro del box della Nike ci siamo tutti e tutti ci facciamo una foto con il dito appuntito sul nome. Carmine raccoglie gli abiti avanzati in una busta di plastica e li affida alla tenda arancione di Podistica Solidarietà. Abbiamo una maglia verdolina con il numero e il chip usa e getta allacciato a una scarpa. La partenza puntuale è fuori dal campo. Prima dello striscione, sulla sinistra, c’è un batterista assordante. Il culto suicida di darci la carica passerà attraverso quella musica che ritroveremo su via del Corso al Nike Store. La grande massa di corridori tiene a bada il campione nascosto dentro di noi e si viaggia in tre a ritmo semi turistico, solo Massimiliano è davanti a fare il tempo. Intorno facce nuove, giovani, non i soliti veterani appassionati di premi di categoria, di strapaesane e salsicce. Un paesaggio umano sorprendentemente allegro e disinteressato alla classifica. Qualcuno si ferma per un selfie con i numerosi spettatori. Dopo via del Corso si sale al Pincio nei rivoli verdi di Villa Borghese, poi tocca a occhi riscaldati dalla discesa più bella del mondo: Via Veneto. I proiettori di emozioni inquadrano le migliaia di magliette monocolore che avanzano verso il Colosseo. Una commozione orizzontale scalcia, non si fa nascondere. I nasi colano e siamo tutti rossi come peperoni a un chilometro dal traguardo. Colpisco e sfinisco una decina di avversari occasionali sui duecento metri della pista di Caracalla che conosco come le mie tasche. Biscotto, acqua, tenda, parcheggio. Cielo terso. Il cuore imbacuccato sta zitto. La mia testa sbuffa come una ciminiera. Per quei due quadri. Per questa bella corsa. Per questa bella città.