Il quadro Non mi era capitato mai prima un cielo così vuoto, non agitato e non mutante, senz'aria. Quasi soffoco. Neppure da bambino. Mi era. Capitato. Ci vedevo sempre qualcosa dentro, una nuvola a forma di mulo, una a forma di hula hop, una a forma di pizza napoletana, una a forma di occhi di mamma, mia. Ci vedevo il sole. La brezza, che è quel vento di mare fastidioso, impoetico, mica bello per chi ha capelli sottili come me. Dicevo... la brezza, tutta attaccata, odora di cose attaccate, di sigaro toscano, di abbronzante e di un omicidio di vongole e granchietti spiaggiati. Faccio qualche saluto scompagnato a quelli in vacanza come me a Lignano. Un bambino gioca con i suoi versetti strani e con un progetto di castello di sabbia da chiudere in una mattinata. Il vento di un elicottero della finanza illumina un sobborgo di meduse scolorite. Appare un sole circonciso, prevedibile, imprevedibile, a scelta. È tutto quello che ho dice una donna, bella. Lo dice attraverso il suo bikini stampato di rose, pieno di seno. Mi prendo metà di lei con lo sguardo mentre cammina sulle punte. Per essere precisi sono le 9,00 di un mattino domenicale di giugno, l’aria è fresca e la sabbia d’oro. Sto su un lettino reclinabile a strisce accanto ad altri lettini reclinabili a strisce. Un terzetto di bagnini, simpatici di professione, lavorano per il ripristino ambientale, nell'imitazione di un villaggio di villeggiatura setacciano con tre retini smagliati cicche di sigaretta, ossi di seppia, ossi di percoca. La donna bella svela al suo pubblico ristretto che il tempo passato a guardarla, pur avendo un grande valore pedagogico, sta per finire. Il pubblico dello stabilimento, distratto, è disposto in tre file di ombrelloni con uno spazio putativo risicato, con tre zone di fuso orario comportamentale e con la sfumatura di pericolo comune di un soffio improvviso che faccia volare le cose. Gli uomini hanno quasi tutti i baffi, occhiali a specchio e cappello ermetico a becco d’anatra. I bambini si dimenano con sincronia perfetta tra secchielli, palette, pianti, lamenti, patatine e lo scivolo gonfiabile. Io, sedato dal vento, ho l’unica fronte asciutta della fila e una pancia sofferta lucida di un solare che riflette l’articolo del Messaggero Veneto che sto leggendo. Ai piedi una piacevole combutta con una borsa frigo e con i suoi diverticoli di chinotto conferma la scena autobiografica e infantile. Per una questione di rotazione quelli della seconda fila ogni tanto avanzano verso il mare basso. Il chiosco bar, carico di sberle di sole, ha il classico odore e colore di cesso prefabbricato movibile riverniciato e non mi viene di dire "ecco il Bar". Le imposte laterali chiuse da scritte oscene e da un'onduline di mosche essiccate dirottano chi ha voglia di qualcosa di fresco, davanti, come con un corpo femminile. Un corpo femminile sta dentro, con occhi scuri, riccioli di sale e una faccia che non somiglia a un’altra faccia, ma a un luogo, un luogo paradossalmente asciutto e triste, senza mare e con una conoscenza enciclopedica della depressione. L’interno è grande e illuminato quanto un hangar per madonnine di plastica convalescenti. Lo scaffale alle spalle è occupato per metà da buste di patatine, cingomme, un traffico di lattine gonfie dal caldo e il dipinto infantile di un cane. L’altra metà è vuota. Quello che colpisce del dipinto senza cornice è una frase sbagliata che fa da guinzaglio scritta con il colore blu proprio sotto una zampa "QUETO E IL MIO CANE". Come forma di comunicazione funziona comunque. Il corpo femminile ha due lacrime disseccate sotto lo stesso occhio, il sinistro, non serve prendere appunti per capire la situazione. Un rossetto color terra solleva grosse zolle per dirmi - desidera? Il sollievo di essere solo, di essere randagio sparisce e prima di rispondere mi affloscio sul bancone di latta: io vedo mezza lei e lei vede mezzo me, la bobina gemellare mostra lo stesso film, la differenza è che io sono più in luce. Le sue dita le sento dibattersi sotto lo scroscio del rubinetto. - Deciso? Fa finta di sfiorare una tastiera stinta, ma non conosce il mio desiderio, può solo provare a indovinare. Come non è facile ammazzare la mia enorme quantità di tempo, non è facile rispondere a quella domanda. Il termometro digitale che pende dalla struttura sulla mia ombra appuntita segna 30°. - Allora me lo dice cosa vuole o vogliamo aspettare il tramonto insieme? - Si che glielo dico - mette fine al pestaggio morale reciproco: - un caffè. - E ci voleva tanto... - Ero concentrato sul quadro. - Se le piace assai glielo vendo, l'ha fatto mio figlio a scuola. (Ride) - Qualsiasi cifra, mi piace tantissimo. La donna comincia a studiarmi con attenzione diversa, a vedere cosa c'è nel mio cofano aperto, se c'è ragione, follia, scherzo. - Beva il caffè, che è meglio. Non riesco a strapparmi dalla scena semplice che vedo qui e rispondo - sì. - Solo una cosa voglio dirle, lei entra sempre così nell'intimità della gente? Lei non si fa mai scrupolo di niente? - Cristosanto, ho solo detto che mi piace quel quadro infantile. - E non lo dica più, va bene? Sono del tutto certo che l'interno sia un hangar di plastica sofferente, ora. Lei mi fissa sempre più intensamente, ma è come se mi guardasse il colore degli occhi e non gli occhi. Con l'affanno di chi non prende respiro da più di un minuto stacca il quadro e me lo scaglia contro. - Glielo regalo, contento? Sto fermo lì a imparare a memoria un suo dolore che nemmeno so dire e non rispondo. - Lo vuole o non gliene importa un fico affumicato? - Mi perdoni. - Non possiedo armi da fuoco, altrimenti l'avrei ucciso, ora se ne vada e lontano. Di quel dialogo non salvo niente. La mia posizione, quella la salvo, dietro tre vetri sporchi di salsedine. E resto lì, pestato a dovere da una brezza stronza. Che io sappia non essere in un posto mentre ci sono non è una novità. Quando mi vietavano di vedere la tv, stavo fermo davanti allo schermo spento in attesa che qualcosa funzionasse e in attesa di poter urlare- si è accesa da sola, ma lei ha azzerato magnificamente la possibilità che qualcosa funzioni . Il corpo di donna, giovane, sorridente e romantico, ora non più sorridente e romantico dice qualcosa che somiglia a quelle scelte di ‘comunicazione inutile’ tanto in voga nei social, tipo: sto mangiando, vado a dormire, mi bruciano gli occhi, si era bloccato tutto. E si è bloccato tutto in bilico tra la narcosi di una sabbia stinta, il legno del pavimento, e note musicali. -L’hai scelta tu questa musica? -L’ha scelta la radio. -E’ molto bella. -Lo vedo da come chiudi gli occhi per ascoltarla meglio. -E’ per il sole e grazie per il tu. Ride. Rido. Cerco di far convivere paesaggio, musica e il suo umorismo ripristinato. Viene fuori una figata di scatto. Bello e meno crudele.