La fila. Il mio dolore, inutilmente mimetico, si vede. Da vicino pure meglio, si vede, ed è pure scomodo, bisogna mettersi di sguincio per notarlo. Che questi dolori qui durano tre giorni, al massimo una settimana. E diventa un gioco quell'apparire infelice, un souvenir del viaggio bello tosto di quando tutto sapeva quasi di latte, di quando le cose ti arrivavano un po' per volta, o a secchiate. Non sono stato io a voler tirar fuori per forza questa storia, che io sto male a raccontarla, sia ben chiaro. Quindi non se ne fa più nulla, non c'è problema. Che sfottere i ricordi con i miei racconti è pure una cosa indegna e prima o poi qualcuno me la farà pagare. A quell'età, a quell'età stavo solo dietro al mio coso, e ai motori. Ero due ragazzi in marcia, uno vivo l'altro morto. Il primo amabile, timido, discutibilmente poetico. L'altro con il viso incolore, capace di riprodurre il timbro della propria voce e non sentirla. Il mio me vivo cresceva mansueto e rispettoso cercando di commercializzare altruismo. Il mio me morto era come se non volesse più occuparsi di nulla con l’angoscia di non occuparsi di nulla. Solo quando cominciò la mia passione per le file ci fu in lui una perdita di equilibrio, un cambiamento. Si, ho detto bene, le file. All'inizio facevo quelle giuste, quelle che mi competevano, poi non bastavano più e ovunque vedevo gente allineata mi allineavo. Ad una svendita, all'ufficio postale , alla cassa dell'Upim, alla biglietteria della stazione, al cinema, a un qualsiasi desk informazioni dove non mi informavo perchè non avevo nulla di cui informarmi. In compenso in fila non ero più da solo, ero con gli altri, come gli altri. Arrivato il mio turno sorridevo e me ne andavo, lasciando la gente con la bocca spalancata. La fila era per me un dottore, uno sciamano, la mia custodia guaritrice. Non facevo le solite domande capziose, silenzioso aspettavo che qualcuno le facesse a me. Che poi sono sempre le persone anziane le prime, una donna con una borsa di vimini gonfia di roba un giorno mi chiese: che temperatura ci sarà? Mi si scioglie tutta la spesa. Ecco le domande erano di quel tipo e nemmeno ricordo le risposte. Se qualcuno crede che fosse un'enorme perdita di tempo starmene tutto il giorno a cercare file, si sbaglia. Era il tempo, casomai, che perdeva me, non lo so spiegare bene, ma così è. Ho conosciuto pure tante ragazze, certo dovevo adattarmi a chi mi capitava vicino e sperare che mi chiedesse qualcosa. Sarà che si capiva che ero al servizio della fila e mi chiedevano spesso. Una con i capelli strani un giovedì mi domandò : -che film c'è questa sera in tv? -Su che canale? -Quello che ti pare, basta che sia un bel film. -Ce n'è uno in costume sul 5, ce n'è uno sentimentale sulla 3, ce n'è uno di pace sulla 7. ( sciorinai un gratinato di titoli e registi e giudizi e anno di produzione) -Esistono i film di pace? -Si che esistono. -Come fai a sapere tutte queste cose? -Perché le so. -Vero, perché le sai, menomale che sta finendo questa fila, non ne posso più, uffa. -Ti cedo il posto se vuoi. -No no, per carità, so bene quanto si fatica a stare in fila, si appesantiscono le gambe. -Io non fatico, corro, sono abituato, e non mi si appesantiscono le gambe. -La corsa abitua alle file? -Abitua a tutto quello che è dolore. -Verrò a correre con te, allora, come ti chiami? -Mi chiamano Tò. -Che sarebbe? -Tommaso. -E tu? -Mi chiamano Iò. -Che sarebbe? -Iole. -Ride. -Rido. -Ti andrebbe un’ottima cena? Una pizza in scatola? -E com'è la pizza in scatola, tipo la simmenthal? -Normalissima pizza di tuo gusto infilata nel prototipo di cartone e condotta a casa mia, anzi a casa mia no, c'è mia madre che rompe, a casa tua? -A casa mia rompono il doppio, caro mio, ma li possiamo buggerare mangiandola su di una romantica panchina. -O.k per la panchina, ne ho proprio una sottomano. Mi osserva con occhi scuri sparachiodi, di quelli che ti fissano al muro e se ti cedono le gambe per l'emozione resti comunque appeso. Non datemi del deficiente piagnone, ma erano così teneri che mi si imbottirono i miei di lacrime e cercai di stare immobile per non farle cadere, mi sarei vergognato non so quanto, fossero cadute. L'idea di ascoltare la musica del cellulare mi venne in aiuto. Lei disse qualcosa e io feci un cenno con la testa facendo finta di aver capito. -Ma hai sentito? -Quasi. -Come quasi? Ti ho detto che ci facciamo due spaghetti a casa mia, non ci sarà nessuno fino a tardi. -O.K, ma io non so cuocere gli spaghetti. -Io si, tranquillo. -O.K, ma che compro? -Comprami una rosa. Cerco di non stendermi sul marciapiede, nè di morire, nè di sentirmi male, ma assicuro che non è facile. -Va bene, tu aspettami qui. -Perderai la fila, scherzavo per la rosa. -Non importa, neppure ricordo per cosa ero in fila, vado e torno. -Tò, dammi la possibilità di capirti da sola, non servono fiori. -Servono. -Sei troppo perbene per me Tò. -Che significa? -Quello che ho detto significa, non spaventarti. -E chi si spaventa. Al mio ritorno la trovo con le braccia conserte e un finto mezzo broncio di chi è stata costretta ad aspettare contenta di farlo. -Belle, tutte rosse, dove le hai trovate? -Qui vicino. -E non me le dai? Ohi, sono per me vero? -Per te. -Avevo detto una, ne bastava una. -E sono di più, fa lo stesso, no? -Sei in auto o a piedi? -Non ho la patente, mi dispiace. -Facciamo due passi, non è lontano ed è pure presto per la cena. - Ascolteremo musica, hai buona musica? Mi guarda ora con lo sguardo impellicciato per capire se ci faccio o se ci sono. -Sissi, certo, buona musica. Le mie fantasie sentimentali si vanificano con quel sissi distratto, ma lei non si accorge del danno di quel messaggio. -E gli spaghetti non li compriamo? -Ma tu davvero vuoi venire a casa mia per mangiare Tò? Se mia madre trova due piatti sporchi mi rompe, se sporchiamo il letto no, non si accorge. -E magari il letto neppure è tanto comodo per mangiare. -Tò, tu mi spaventi, sul letto non si mangia, si fa l'amore. -Lo so che si fa l'amore, lo so, non sono poi così tonto, scherzavo. -Non scherzavi Tò, sei diventato rosso. -Io? -Si, proprio tu. Essere così esplicita non aveva raggelato la voglia di metterle le mani sui fianchi e stringerla a me, e poterci fare l'amore avrebbe creato problemi di sovrappopolazione, non avrei smesso mai. Ma non bastava ingaggiare il mio desiderio per farmi parcheggiare lì, accanto a lei, non bastava. -Siamo arrivati? -Si, prendiamo l'ascensore. Da più vicino di vicino è molto bella, e la luce artificiale è un flash che amplifica l'effetto. Apre la porta e un barboncino color birra ci scodinzola felice, ci sono molti quadri alle pareti, ci sono molte pareti, la casa è grande. -Accomodati, vuoi una sigaretta? -Non fumo. -Qualche vizio ce l'avrai, o sei proprio perfetto? (ride) -Mi piace la pesca alle trote nel laghetto artificiale. -(ride) Ma quello che vizio è? (ride ancora) -Vuoi del limoncello? Lo fa mia nonna, è nel frigo. -Non bevo. -Se tra un pò dirai -Non amo-, giuro che ti butto di sotto e siamo al sesto piano. -Davvero lo faresti? -Si, forza spogliati non abbiamo molto tempo, mia madre potrebbe tornare. -E cosa devo togliermi per primo? -Il tonto che sei devi toglierti, guarda me. In trenta secondi è completamente nuda. Completamente. -Ho sete. -Apri il frigo, se mio fratello non ha spazzolato tutto ci dovrebbe essere qualcosa. -Hai un fratello? Hai una madre e un padre? -Se mi vuoi figlia unica e orfanella lo divento, ma ho. -E se arrivano? -Dirai che sei mio amico, non sei né l’ultimo né il primo a varcare questa soglia. -E in tanti hanno varcato? -Abbastanza, perché? -Così. -La pianti Tò, vuoi che mi rivesta? -Si. -Va bene. -Domani vieni a correre con me? Sto preparando la trenta di Ostia. -A Ostia non verrei nemmeno sotto tortura e trenta che? -Che ti ha fatto Ostia? -Non mi piace il mare e non mi piaci tu. -Improvvisamente? -Improvvisamente, c’è chi si piace improvvisamente e chi non si piace improvvisamente. -Capito. -Non fare quella faccia. -Questa ho. -A che ora? -A che ora che? -A che ora corriamo? -Alle 8, fa ancora caldo. -A Ostia mi ci porterai tu però. -Io ci andrò in bici. -Allora trova un tandem, un tonto come te non lo voglio perdere. -Grazie.